Radiografia

Nella valle è scesa la nebbia, una nebbia fitta e pesante.
Anche le cose più belle appaiono meno nella loro lucentezza, quasi in via di spegnimento, come una carica energetica per loro stesse per venir meno.
Accanto a esse, anche chi passa per quaggiù sembra non dire altro che ciò che non c'è più.

Una densa coltre di grigiore tende sempre più al buio, mentre le immagini dell'innocenza vengono scalzate da quelle di una nuova credenza, fatta di illusioni, di concessioni e di manipolazioni, a seconda di chi cala il sipario sulla scena.
Tutto tace sempre più e si illumina sempre meno.
Il tramonto ignorato da questo passaggio cede alla cupa notte in arrivo prepotente.

Col il suo capo, l'antica tribù che osannava la sera non sa più che fare: il suo rito ancestrale va ora in emorragia, e come una ruota forata esige un cambio, e per questo una obbligatoria fermata. Dispersi nella foresta del caos subentrato all'ordine primitivo, siamo divenuti ora oggetti in balìa del fato e del destino. Ogni divinità che se l'era finora spassata, ora viene spazzata via. Non rimane che l'umanità sofferente, e forse questa ora è destinata a essere innalzata al rango di unica divinità.

La paura si fa anonima, e proprio per questo più astuta, e può penetrare fin dove non aveva potuto prima: nel midollo del cuore, nelle ossa dell'anima, sotto la pelle della mente, interpellando urgentemente la domanda esistenziale: chi siamo? Che facciamo? Perchè?...

Un vortice suboceanico crea il risucchio della nostra storia; siamo destinati a finire nel gorgo del nulla originale, oppure tutto questo è solo un drenante per purificare i nostri stati e riprendere il rinnovamento universale?