Il destino del gatto siamese

Andar per l'aia non è solo roba da polli, ma anche di chi ne fa la figura, e - a volte - pur anche le veci. Sta di fatto che colui che pare arzillo spesso non è altro che un gran fannullone che si agita solo per il sè più esteriore e si ingegna a far da mascherina per ricavar, con i suoi imbogli, il miglior bottino possibile. Star sul divano è una grande opera di saggezza e di compostezza, a patto che non si sbattano giù gli altri che vorrebbero anche loro accomodarsi. Se lui sì, perchè io no? Nasce da questa domanda di fondo l'ingiustizia, opera del gatto siamese.

Tutto ciò che pare avventato, a volte è frutto di meditazione trasportata dagli alisei e dagli scirocchi, e siccome a volte dal deserto diciamo non nasce niente, siamo portati a giudicar la cosa come il frutto di un allettante ma irreale miraggio. Ma dietro il nulla sta a volte il laborioso fare di tanto e di tanti che si alternano come operai nei turni della notte per mandare avanti il progredire del mondo.

Ma nella legge dell'astuto gatto siamese, dietro un gran lavorar che si dice lui abbia fatto per anni e anni a servizio dell'umanità, sta spesso solo il nulla, il giacer comodo e impettito sul divano della ragione astuta, furba e filosofante, a volte anche religiosamente mistica, a volte atea e indifferente a tutto. I faraoni dell'antico Egitto avevano già loro compreso che nonostante i vari tentativi per dominare il gatto, non dire mai gatto che non sia nel sacco era la cosa più vera che potesse esserci, per cui lasciare il gatto fuori dal sacco era imperativo.

Il destino del gatto siamese è quello di far lavorare gli altri a far piramidi e frullati, a discutere e progettare, andare avanti e indietro per il mondo. Ma lui, il gatto siamese, sa che il suo destino è star col sedere orientato al tramontar del sole, pronto a farsi tenebra ogni volta che il giorno volge al desìo, apparendo bello e aitante il dì, ma scomparendo sempre da lì.